Le cellule staminali ottenute dal cordone ombelicale sono una risorsa molto preziosa che, dalla fine degli anni ’80 ad oggi, ha portato numerosi medici in tutto il mondo ad esplorare la possibilità di utilizzare questa nuova fonte.
Attualmente le cellule staminali cordonali sono impiegate nella cura di più di 80 diverse patologie potenzialmente letali, come leucemia, linfoma e anemia falciforme. Non solo, questo tipo di cellule staminali si sta rivelando fondamentale anche in nuove aree della medicina rigenerativa per trattare lesioni del midollo spinale, paralisi celebrale, autismo, diabete di tipo 1 e molto altro. Purtroppo, ancora oggi, la maggior parte delle persone non è consapevole dell’importanza di conservare questa preziosissima risorsa naturale. Così accade che, nella maggior parte delle nascite, il sangue del cordone ombelicale viene gettato come rifiuto medico.
Conservare questo patrimonio inestimabile dà la garanzia di poter avere accesso, in qualsiasi momento, ad un importante strumento biologico di cura che potrebbe rivelarsi vitale per la salute di tutta la famiglia.
In occasione di questo avvenimento noi di Evolvo Group, in collaborazione con Futura Stem Cells, il giorno 17 novembre alle ore 18:00 organizzeremo un webinar totalmente gratuito durante il quale, la Dott.ssa Marina Baldi, Biologo Genetista, la Dott.ssa Pierangela Totta, Direttrice Scientifica di Futura S.C. e il Professor Francesco Torcia, Dirigente Medico del reparto di Ginecologia e Ostetricia presso l’ospedale Sant’Andrea di Roma, affronteranno alcune tematiche attuali legate alle cellule staminali.
– Quali sono le terapie disponibili ed emergenti grazie alle cellule staminali del cordone ombelicale?
– Qual è la situazione in Italia relativa all’utilizzo delle cellule staminali?
Discuteremo di queste e molte altre domande insieme ai nostri tre esperti nel corso dell’incontro dedicato ai professionisti del settore ma aperto anche a chi interessato all’argomento.
La conoscenza è potere e può salvare una vita.
Anche dalla Spagna arrivano i primi risultati di una sperimentazione clinica basata sull’infusione di cellule staminali mesenchimali su pazienti affetti da Covid-19.
Avevamo già parlato in un articolo precedente del ruolo centrale assunto dalle cellule staminali nella lotta contro il Covid-19.
Quando il virus SARS-CoV2 infetta il sistema immunitario dell’uomo in molti casi può svilupparsi come conseguenza una polmonite interstiziale. Il trattamento utilizzato per contrastare la polmonite è la ventilazione forzata del paziente, trasferito in rianimazione. La condizione di ventilazione forzata attiva il sistema coagulativo generando il rischio di processi trombotici, una delle concause che porta al decesso.
Per evitare la rianimazione, con i risvolti negativi conseguenti, sono state utilizzate diverse terapie farmacologiche da parte dei medici.
Le terapie attuate, purtroppo, su alcuni pazienti non attecchirono. In questi casi il trattamento con le cellule staminali mesenchimali poteva rivelarsi una speranza di salvezza, visto la loro azione anti-infiammatoria. Riducendo l’infiammazione si diminuiscono i processi che attivano il sistema coagulativo, portando alla riabilitazione dell’organismo.
Per lo studio Balmys-19, guidato dal Dr. Filipe Prosper dell’Università di Madrid, sono state arruolate 13 persone alle quali la somministrazione di antivirali e anti-infiammatori non aveva prodotto risultati. I pazienti, infatti, erano finiti in rianimazione con ventilazione forzata e, per questo, vennero scelti per il trattamento.
I dosaggi che ricevettero furono diversi: dieci pazienti due dosi, due pazienti una dose e un paziente tre dosi. Una dose media di cellule staminali mesenchimali era di 980.000 cellule per kg di paziente.
Successivamente all’infusione nessun paziente trattato ha manifestato sintomi avversi, mostrando il miglioramento di diversi parametri analizzati.
Passati 16 giorni, nove pazienti, cioè il 70%, hanno presentato miglioramenti e, tra questi, sette sono stati estubati e dimessi dalla terapia intensiva, dando prova degli ottimi risultati ottenuti dal trattamento.
L’infiammazione diminuì in tutti i pazienti e aumentò, al contempo, il livello di leucociti. Quest’ultimo dato dimostra la reattività del sistema immunitario.
È stato dimostrato infine che i miglioramenti avvenivano sia se le cellule staminali impiegate erano estratte da tessuto fresco sia se si trattava di cellule congelate.
In conclusione allo studio è stata raccomandata dai ricercatori molta prudenza, visto che le terapie cellulari, a differenza delle altre, sono considerate “farmaci vivi” e, per questo, devono essere somministrate da personale medico altamente qualificato, sotto la sorveglianza delle autorità sanitarie.
Si è conclusa la sperimentazione di Fase 1 condotta dal Dottor Angelo Vescovi dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo che prevedeva il trapianto di cellule staminali cerebrali umane in 15 pazienti affetti da sclerosi multipla secondaria progressiva.
Nella giornata del 20 maggio è stato rilasciato l’ultimo paziente sottoposto alla sperimentazione autorizzata dalle commissioni dell’Istituto superiore di sanità e dell’Agenzia italiana del farmaco, Aifa.
Malgrado l’emergenza Covid-19 i clinici, i responsabili della produzione del farmaco, i ricercatori, i neurologi ed i neurochirurghi del team sono riusciti a tutelare i pazienti non interrompendo, al contempo, la sperimentazione.
Nessuna delle 15 persone sottoposte al trattamento ha manifestato effetti collaterali. Per avere i risultati finali però bisognerà attendere: “Aspettiamo adesso il follow-up a un anno e la sottomissione nei tempi più brevi possibili del protocollo per la Fase II in questa grave malattia”, ha affermato il Dott. Vescovi.
Si tratta di un primo passo verso l’istituzione di un protocollo sperimentale che permetterà di trattare i pazienti affetti da sclerosi multipla con l’infusione di cellule staminali.
I pazienti previsti dalla terapia sono stati suddivisi in quattro gruppi. Le dosi sono state trapiantate in maniera crescente: gli ultimi sei hanno ricevuto il dosaggio più elevato (24 milioni di cellule). Passate le 48 ore di osservazione a seguito al trapianto, tutti i 15 pazienti sono stati dimessi e nessuno di loro ha manifestato effetti collaterali nell’immediato post-operatorio o nei mesi successivi.
Adesso i pazienti verranno seguiti per un anno, un anno e mezzo, anche se si cercherà di prolungare questo termine. Di primaria importanza sarà ottenere la conferma che nel tempo il paziente non abbia effetti negativi.
Questa sperimentazione si differenzia dalle precedenti per via del maggior tempo, fatica e costi impiegati. I pazienti prima di ricevere il trapianto sono stati monitorati nelle loro parti neurologica e clinica per tre mesi, in maniera tale da verificare se, per caso, le cellule staminali infuse avessero inciso in maniera positiva o negativa su tali aspetti.
Al momento, oltre alla non manifestazione di effetti collaterali, sono stati riscontrati, in alcuni pazienti, dei chiari effetti benefici. Questo fornisce gli elementi per procedere ad una sperimentazione più ampia e più mirata che porti alla determinazione e allo sviluppo di una vera e propria cura.
Questo caso non è l’unico verificatosi in Italia. L’anno scorso il Direttore Scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffale di Milano, Gianvito Martino, aveva annunciato la conclusione della fase di trapianto delle cellule staminali neurali in 12 pazienti con sclerosi multipla coinvolti nello studio STEMS, finanziato dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM). Durante il congresso nazionale FISM, Martino aveva dichiarato: “Solo tra due anni concluderemo lo studio e cioè quando anche l’ultimo paziente trapiantato completerà i due anni previsti di follow up”.
Resta che, ad oggi, i risultati di questo primo studio continuano ad essere positivi: 9 pazienti dei 12 trapiantati hanno completato il follow-up di due anni senza manifestare effetti collaterali importanti, mentre gli ultimi 3 pazienti trapiantati hanno già concluso senza complicazioni il primo anno di follow-up accingendosi a completare il secondo anno.
Nessuno poteva immaginare che nel giro di un paio di mesi un virus appartenente a una famiglia a noi nota, quella dei Coronavirus, evolvesse in una maniera tale da costringere l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a dichiarare lo stato di pandemia che ha coinvolto il mondo intero.
La diffusione a macchia d’olio del SARS-CoV-2 e le ripercussioni sulla salute umana hanno fatto sì che numerosi studiosi di ogni settore sanitario abbiano intrapreso una lotta contro questo agente microscopico che sta cambiando la vita di tutti noi.
Le strategie adottate sulle persone infettate dal virus, che hanno sviluppato diversi sintomi, più o meno gravi, sono molteplici e comprendono terapie antivirali, idrossiclorochina, anticorpi neutralizzanti, riproposizione di farmaci utilizzati per altri virus e infusione di siero di pazienti in convalescenza da coronavirus.
Lo studio al microscopio di questo virus e del suo meccanismo d’azione ha evidenziato come questo si attacchi in via preferenziale a quelle cellule che hanno sulla loro superficie una molecola detta recettore ACE2, presenti in gran numero negli alveoli polmonari.
Quando il virus raggiunge i polmoni e infetta le cellule genera una tempesta citochinica di molecole infiammatorie, provocando i sintomi peggiori associati al Covid-19, cioè quelli che portano i pazienti in terapia intensiva. Questo ha portato ad indirizzare gli sforzi verso una cura che blocchi la formazione di questa cascata di molecole infiammatorie.
Gli sforzi si sono dunque concentrati su una cura che blocchi la formazione della cascata di molecole infiammatorie, anche se, purtroppo, i trattamenti utilizzati fino ad ora non sempre hanno portato ad un miglioramento dei pazienti ricoverati in terapia intensiva.
Pertanto gli studiosi hanno iniziato a ragionare su cosa potesse dare il maggior effetto antinfiammatorio, facendo ricadere la scelta sulla potenziale azione del trapianto di cellule staminali mesenchimali (MSC), cellule già protagoniste di numerosi studi clinici per l’evidente effetto immunomodulatorio e di mitigazione dell’infiammazione. La Cina, dopo diversi studi clinici, ha fatto da apripista verso questa direzione trapiantando cellule staminali mesenchimali ad alcuni pazienti affetti dal virus. I risultati preliminari hanno dimostrato che il trattamento con cellule staminali mesenchimali era sicuro ed efficace, dati i miglioramenti assunti dai pazienti.
L’utilizzo di queste cellule risulta particolarmente efficace per via del loro potere immunomodulatorio. Stimolando la riparazione endogena dei tessuti, possono prevenire e ridurre la tempesta di molecole infiammatorie generate dal virus, migliorando al contempo i danni creati dal virus sull’ambiente circostante.
Il trapianto avviene attraverso una semplice infusione e, subito dopo, si vanno ad accumulare nell’organo più colpito, il polmone, proteggendo gli alveoli, prevenendo la fibrosi polmonare e migliorandone la funzionalità.
La fonte migliore da cui estrarre le cellule staminali mesenchimale è la gelatina di Wharton, il tessuto interno al cordone ombelicale.
Le stesse cellule prelevate dal midollo osseo, infatti, non sarebbero molto funzionali allo scopo in quanto al suo interno non è presente un numero elevato di queste cellule ed anche perché le modalità con cui viene effettuato il prelievo renderebbe il tutto più difficoltoso.
Le motivazioni che rendono il cordone una ottima fonte sono diverse:
– Le cellule staminali mesenchimali derivanti dal cordone ombelicale si moltiplicano molto più velocemente di quelle di altre fonti, condizione essenziale per essere una buona cura contro il coronavirus, la quale richiede milioni di cellule per dare un’efficacia clinica.
– Il cordone ombelicale e le cellule in esso contenute vengono prelevati in maniera non invasiva
– Le cellule staminali cordonali hanno delle caratteristiche immunologiche che permettono il trapianto da un paziente diverso dal donatore senza generare rigetto.
Anche in Italia è avvenuto il primo trattamento di un paziente affetto da Covid-19 con le cellule staminali cordonali, in linea con gli studi effettuati in Cina, Israele e America, riportando risultati soddisfacenti. Si tratta di un paziente di 69 anni affetto da insufficienza respiratoria da Covid-19 e ricoverato presso l’Unità operativa di Terapia intensiva dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, trattato mediante due infusioni di MSC da cordone ombelicale a distanza di una settimana l’una dall’altra. Il trattamento a uso compassionevole non ha causato effetti collaterali e il paziente è sotto stretto monitoraggio clinico. I parametri relativi all’ossigenazione, infiammazione, coagulazione e funzionalità renale sono migliorati.
Questo ha portato a sottoporre all’AIFA una richiesta per una sperimentazione clinica su scala nazionale.
L’incoraggiante notizia di questo miglioramento è in linea con gli studi che stanno avvenendo nel resto del mondo, come negli USA dove la sperimentazione viene portata avanti Dr. Camillo Ricordi, massimo esperto nella terapia cellulare contro il diabete, professore all’Università di Miami ed oggi capo progetto dello studio clinico approvato dall’FDA americana, ha dedicato e dedica la sua vita alle terapie cellulari.
Eseguito come cura compassionevole, lo studio americano porterà 24 pazienti non responsivi ad altre terapie a ricevere più dosi di cellule staminali mesenchimali del cordone ombelicale amplificate in laboratorio. Le cellule iniettate nel circolo venoso si indirizzeranno spontaneamente nel polmone.
Lo studio in questione porterà a risultati in tempi brevi e fornirà scoperte che ci faranno riflettere sul futuro.