27 SET – Dopo il Covid e con i finanziamenti inseriti nel PNRR, quale modello di sanità nascerà per i cittadini? Questo il tema dibattuto venerdì sera al Chiostro del Bramante durante la tavola rotonda “La nuova sanità dopo il PNRR” organizzato da AIOP Lazio nel corso della quale, moderati dal giornalista Gerardo D’Amico, si sono confrontati l’Assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato, la Dr.ssa Jessica Veronica Faroni, Presidente AIOP Lazio, il Prof. Federico Spandonaro dell’Università di Tor Vergata e il Prof. Francesco Vaia, Direttore IRCCS Spallanzani.
Il dibattito è stato introdotto dal Dott. Mauro Casanatta, Direttore Generale AIOP Lazio, che ha ricordato come in questi mesi “abbiamo trascorso e vissuto un tempo molto difficile, caratterizzato però da una disponibilità e collaborazione con la Regione mai avuto negli ultimi anni. Quando a febbraio mi telefonò l’Assessore D’Amato” per l’allestimento dei posti covid – prosegue Casanatta – in poco tempo siamo riusciti ad organizzare e allestire un numero elevato di posti letto, 1300, per prestazioni covid, per tutte le tipologie assistenziali. Questo ha permesso di essere di supporto alla nostra amministrazione. La collaborazione è proseguita quando l’Assessore ha chiesto supporto per la campagna vaccinale: 600 mila vaccini sono stati inoculati dalle Case di Cura AIOP. Questo testimonia il rapporto avuto e che vorremmo continuare ad avere con la Regione: vogliamo continuare ad essere un interlocutore a disposizione dell’amministrazione”.
Digitalizzazione, telemedicina, assistenza domiciliare, Case di comunità: sono circa 15 miliardi sono i fondi destinati alla sanità nel PNRR. Ma come verranno utilizzati questi finanziamenti? “Oggi siamo qui per capire cosa può fare la sanità privata per il sistema nell’ambito del PNRR.” – ha esordito Jessica Veronica Faroni, Presidente AIOP – “Abbiamo condiviso con l’Assessore D’Amato alcune criticità del PNRR, come ad esempio il criterio di densità, che favorisce i grandi centri metropolitani, a discapito dei territori di provincia. Il tema centrale come è utilizzare nel migliore dei modi i finanziamenti che arriveranno con l’ottica di essere utili al paziente”. In tema di digitalizzazione e telemedicina la Presidente AIOP ha presentato i risultati di uno studio finanziato dal Gruppo INI su pazienti testati all’INI Città Bianca di Veroli. “Abbiamo sottoposto a monitoraggio da remoto grazie ai dispositivi di telemedicina per un mese intero, dal 10 agosto al 10 settembre, 10 pazienti ricoverati e 10 pazienti a domicilio, rilevando quotidianamente 3 volte al giorno parametri fondamentali come pressione, temperatura, ossigenazione e frequenza cardiaca. Sono stati rilevati complessivamente più di 8000 dati sanitari. Che costo avrebbe lo stesso servizio nelle modalità tradizionali, se consideriamo anche tempi e costi degli spostamenti per medici e pazienti? Lo studio che abbiamo condotto conferma che abbiamo risparmiato risorse e, con molta probabilità, abbiamo evitato accessi non idonei al pronto soccorso”. I dati presentati dimostrano inoltre come la nuova tecnologia sia considerata positivamente dai pazienti coinvolti nello studio, e come anche i più scettici, ad esempio i pazienti più anziani, abbiamo cambiato la propria percezione dopo l’utilizzo effettivo dei device.
Faroni ha sottolineato un’altra criticità del PNRR: “Perchè costruire nuove strutture quando nelle strutture accreditate i posti letto sono stati tagliati del 30%? Si evidenzia una mancanza di strategia, di visione. Sembra un PNRR fatto per più per i costruttori, che non per la sanità e per i pazienti. Sulla digitalizzazione e la telemedicina – ha concluso – le strutture private hanno il vantaggio di essere più snelle e rapide, potendo contare anche sul supporto di aziende che ci supportano in questa evoluzione”.
Ha preso poi la parola Alessio D’Amato, Assessore alla Sanità Regione Lazio che ha aperto il suo intervento ricordando che Roma e il Lazio sono ai primi posti nel mondo per copertura vaccinale e che nel Lazio il tasso di mortalità per Covid è 5 volte inferiore alla Lombardia, 2 volte inferiore a quello nazionale: “Fauci ha portato a modello l’Italia e quindi, implicitamente, ha ringraziato tutti voi. Quello che è stato fatto non è frutto di fortuna, ma di grande professionalità e del prezioso contributo della sanità privata”. Sul futuro ha affermato che “nulla rimarrà come prima, ci sarà un’era pre-covid e una post -covid. Questo sistema sanitario ha salvato molte vite e dobbiamo fare tesoro del lavoro fatto insieme. E’ stata una chiamata alle armi per fronteggiare la più grande tragedia di questo secolo”.
D’Amato ha sottolineato come il SSN abbia subito “una riduzione significativa delle risorse negli ultimi anni. Il fondo sanitario è sotto finanziato e dovrà crescere di 20/30 miliardi, per allinearci a Francia e Germania”.
In relazione al PNRR D’Amato ha fatto il punto sulle problematiche che dovremo affrontare nei prossimi anni. “Avremo un aumento del 40% degli over 80, che significa affrontare il tema delle cronicità e delle patologie neurodegenerative, e bassi tassi di fertilità, quindi sempre più anziani e meno nascite”. Le vere sfide, secondo D’Amato saranno cronicità, PDTA, telemedicina e la formazione di nuove figure professionali.
“Il modello sta cambiando, in questo senso il covid è stato un acceleratore. Il sistema dei medici di base va ripensato e c’è un tema importante legato alla formazione. La sanità territoriale è fortemente incentrata sui MMG ma con le attuali specializzazioni la medicina del territorio è difficile da fare. Abbiamo bisogno di nuove professionalità, nuovi infermieri e sarà difficile trovarli. Dobbiamo creare nuove figure soprattutto sull’assistenza domiciliare”.
Il cambiamento e la nuova sanità sarà costruita “con il contributo dell’ospedalità privata. Il metodo di lavoro che abbiamo attuato nel contrastare il Covid sarà mantenuto: un metodo di lavoro unitario. Abbiamo fatto negli ultimi mesi quello che non abbiamo fatto in anni. Il Lazio sarà pronto, vorrà giocare la “partita” con efficacia ed efficienza. Questo lavoro, se lo proseguiamo insieme, porterà beneficio alla qualità dell’assistenza perché nel pubblico e nel privato abbiamo grandi professionisti. Il Lazio ha voglia di correre dopo 11 anni di commissariamento, dobbiamo essere messi nelle condizioni di farlo. Nel momento della tragedia tutti abbiamo dimostrato quello che sappiamo fare”.
“Il PNRR è senza dubbio una grande occasione, ma per farlo approvare è stata fatto la cosa più semplice: mettere i soldi su “muri” e attrezzature”. Così ha aperto il suo intervento Federico Spandonaro, Professore dell’Università di Tor Vergata – evidenziando come a suo parere il PNRR, per come è strutturato, manchi di visione e non indichi chiaramente il modello sanitario che intende costruire. Con il PNRR si stanno finanziando attività, come ad esempio il fascicolo sanitario elettronico, che erano già previste ma che non sono state realizzate. Gli investimenti in “muri e attrezzature” devono essere finalizzati ad aumentare considerevolmente la produttività del sistema, ma bisogna anche considerare i fondi necessari per il mantenimento delle strutture e il futuro ammodernamento delle attrezzature.
Il grande problema del territorio secondo Spandonaro – “non è avere qualche struttura in più o in meno, ma non avere un modello chiaro da applicare, in particolare per la presa in carico dei pazienti”. Bisogna pensare a “un modo nuovo di fare territorio basato sull’integrazione, che oggi per natura è digitale. E in questo c’è anche la visione del rapporto/pubblico privato, perché o le piattaforme digitali connettono davvero tutti oppure diventano inutili.
“Questa pandemia ci ha cambiato e in questa pandemia si è concretizzata l’integrazione tra pubblico e privato” ha esordito Francesco Vaia, Direttore IRCCS Spallanzani, che ha citato le USCAR come esempi virtuosi di sanità territoriale, nate dall’emergenza e definite “un esercito sul territorio”. Il passo ulteriore è immaginare un “medico della territorialità” che connetta MMG e specialisti in una nuova visione di sintesi: un modello applicato in pandemia con successo allo Spallanzani. Vaia ha affrontato anche il tema degli investimenti nella ricerca rimarcando come gli USA abbiano recentemente stanziato 165 miliardi di dollari, mentre la quota in Italia si ferma attorno al miliardo di euro. Ha poi sottolineato i successi del Lazio, “i migliori nel contact tracing” e infine ha fissato l’obiettivo futuro per lo Spallanzani. “Prima della pandemia l’OMS ha detto che il vero problema era la lotta all’antibiotico resistenza. Vogliamo occuparci di questo e abbiamo l’ambizione di diventare una guida nel Mediterraneo in quella che sarà la nuova battaglia”.
La scoperta di particelle virali, in quanto entità biologiche parassitarie obbligate, la si attribuisce a Martinus Willem Beijerinck, microbiologo e botanico olandese, quando, nel 1898, dimostrò che la malattia causante l’arresto della crescita delle piante del tabacco, denominata “mosaico del tabacco” poiché conferiva alle foglie un aspetto punteggiato a mosaico, era causata da un agente infettivo di dimensioni inferiori a quelle di un batterio.
Tali particelle furono classificate con il nome di “virus”, che in latino significa veleno, ma fu solo negli anni ’30, con l’invenzione del microscopio elettronico, che si riuscì per la prima volta a vederle. Invece l’identificazione della maggior parte dei virus che infettano animali, piante e batteri avvenne nella durante la seconda metà del XX secolo.
I virus hanno molte somiglianze con gli esseri viventi, ma presentano delle caratteristiche specifiche. Sono parassiti intracellulari obbligati, ovvero possono sopravvivere solo utilizzando le risorse di una cellula ospite. Sono in grado di infettare ogni tipo di cellula inclusi batteri, archea, protisti, piante, funghi ed animali (quelli che infettano i batteri sono detti batteriofagi). Sono costituiti da un Core di acido nucleico e sono i microrganismi più diffusi sulla terra.
Una delle loro peculiari caratteristiche è quella di avere dimensioni molto ridotte, tra i 20 nm e i 300 nm. Inoltre al loro interno contengono DNA o RNA a singolo o doppio filamento, ma mai entrambe, e il loro Core, costituito da subunità proteiche dette Capsomeri, è circondato da un rivestimento proteico detto Capside.
I virus possono presentarsi in due forme, “nudi” o “rivestiti”. I virus nudi sono formati esclusivamente da acidi nucleici e dal Capside che li circonda. Ne sono un esempio i batteriofagi. Mentre i virus rivestiti, oltre al capside, presentano una membrana più esterna chiamata Pericapside (Envelope) che deriva dalla membrana plasmatica della cellula ospite e, come tale, è costituita principalmente da fosfolipidi, ma anche da polisaccaridi e proteine (generalmente glicoproteine). La membrana acquisita gli permette di penetrare più facilmente all’interno delle cellule suscettibili, rendendo cosi più difficile la risposta immunitaria dell’ospite. Il virus SARS-CoV2, appartenente alla famiglia dei Coronavirus, è un esempio di virus rivestito composto da un singolo filamento di RNA a carica positiva (ssRNA+).
Come già accennato parlando delle loro caratteristiche, i virus riescono a riprodursi solo all’interno delle cellule ospiti e possono infettare animali, vegetali e batteri. Attaccandosi alla superficie cellulare, un virus penetra al suo interno ed effettua la sintesi dei componenti virali che vengono poi assemblati e rilasciati come virus completi dalla cellula ospite.
I Coronavirus (CoV), appartenenti alla famiglia dei Coronaviridae, possono causare diverse malattie a spettro sintomatico. Considerati causa primaria del comune raffreddore, sono responsabili anche di sindromi respiratorie severe come la MERS (sindrome respiratoria mediorientale) e la SARS (sindrome respiratoria acuta grave). I virioni, singole particelle virali, hanno un diametro di medio di circa 100-160 nm, sono poleimorfi e rivestiti da pericapside con un grosso genoma ad ssRNA lineare (fino a 27-32 Kb).
Il loro nome deriva dalla presenza di spicole molto evidenti sul pericapside che sembrano formare una “corona” intorno alla particella virale.
Tra gli ospiti del Coronavirus troviamo molte specie animali, tra cui anche l’uomo.
I Coronavirus umani conosciuti, comuni in tutto il mondo, sono sette, identificati a partire dai primi anni Sessanta fino ad oggi e sono:
1- 229E (alphacoronavirus)
2- NL63 (alphacoronavirus)
3- OC43 (betacoronavirus)
4- HKU1 (betacoronavirus)
Questi primi quattro causano lievi malattie del tratto respiratorio superiore, incluso il comune raffreddore.
5- SARS-CoV (betacoronavirus, causa della sindrome respiratoria acuta grave)
6- MERS-CoV (betacoronavirus, causa della sindrome respiratoria mediorientale)
7- SARS-CoV2 (betacoronavirus, causa della COVID-19)
La sindrome respiratoria acuta grave è stata registrata per la prima volta in Cina nel novembre del 2002, causando un’epidemia mondiale che tra il 2002 e il 2004 ha registrato 8.098 casi probabili di cui 774 decessi. Dal 2004 non si sono registrati casi di infezione da SARS-CoV in nessuna parte del mondo.
La sindrome respiratoria mediorientale è stata registrata per la prima volta in Arabia Saudita nel 2013 e, da allora, l’infezione ha colpito persone da oltre 25 paesi, anche se tutti i casi hanno compito sono stati collegati a Paesi interni o nelle vicinanze della penisola arabica.
I primi casi sospetti attribuibili alla COVID-19, invece, sono stati riscontrati a Wuhan il 31 dicembre del 2019 e, il 9 gennaio dell’anno seguente, l’OMS comunica che è stato individuato un nuovo ceppo di Coronavirus, 2019-nCoV.
Questo nuovo ceppo sembrerebbe nato nei pipistrelli e successivamente veicolato da una specie di serpente. Le analisi di sequenza dell’intero genoma di 104 isolati virali da pazienti e zone diverse mostra analogie per il 99,9%, senza mutazioni significative, con omologia con SARS-CoV dell’80% e di oltre il 90% con il coronavirus dei pipistrelli.
Le fasi dell’analisi molecolare volte all’individuazione del SARS-CoV2 sono:
• Estrazione dell’acido nucleico
• Retro-trascrizione da RNA a cDNA e amplificazione dello stesso
• Fase di amplificazione in Real Time per valutare la presenza o assenza di genoma virale
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Continuiamo a parlare di cellule staminali del cordone ombelicale e COVID 19. Ottime notizie dal mondo scientifico.
Il Dr. Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute dell’Università di Miami, intervistato dalla trasmissione “L’aria che tira” di La7 parla dei risultati dello suo studio clinico. Lo studio valuta la sicurezza delle cellule staminali mesenchimali del cordone ombelicale in pazienti in terapia intensiva con COVID-19.
I risultati saranno pubblicati sulla rivista internazionale Lancet nei prossimi giorni. Intanto, dal preprint, leggiamo risultati sorprendenti. Il trattamento a base di cellule staminali del cordone ombelicale non solo si è dimostrato sicuro, ma anche efficace. I pazienti hanno avuto due infusioni. Erano 24 pazienti con 12 come gruppo di controllo. Le sperimentazioni effettuate in Cina, che avevano dato buoni risultati, non avevano il gruppo di controllo, richiesto dalla FDA americana. I pazienti presentavano un livello medio grave di COVID-19 e altre patologie pregresse e/o fattori di rischio. L’età era variabile dai 30 agli 86 anni. I risultati sono stati molto incoraggianti. Le infusioni con le cellule staminali mesenchimali del cordone ombelicale, infatti, hanno ridotto la mortalità al 91% per tutte le età e al 100% per le persone sotto agli 85 anni, ma anche il tempo di ripresa dalla malattia.
L’America si prepara ad approfondire questo studio clinico, ma l’Europa?
Orgogliosi di comunicare un annuncio della nostra banca di cellule staminali, Stemlab. Fu tra i primi laboratori ad attivarsi per sviluppare un farmaco a base di cellule staminali mesenchimali, credendo nelle potenzialità di queste cellule. Proprio questo anno il sito produttivo di Stemlab nel Biopark è stato ampliato per l’attuazione di nuove terapie sperimentali. Per dare possibilità di integrazione per consorzi internazionali nel campo delle terapie cellulari.
Oggi possiamo dire che questo farmaco a base di cellule staminali mesenchimali del cordone ombelicale è diventato realtà.
Stemlab, infatti, ha annunciato di avere completato lo sviluppo di un farmaco sperimentale a base di cellule staminali mesenchimali del cordone ombelicale e di avere già pronto un primo lotto. Indicato col nome SLCTmsc02, è destinato al trattamento ospedaliero dei pazienti più gravi. È costituito da dosi di 100 milioni di cellule staminali mesenchimali (MSC) del tessuto del cordone ombelicale.
Secondo André Gomes, Direttore Generale di Stemlab, “questo farmaco sperimentale è stato sviluppato, a tempo di record, presso la nuova unità di produzione di farmaci per terapia cellulare di Crioestaminal” ed è il risultato degli sforzi del team di tecnici e ricercatori dell’azienda negli ultimi mesi.
“Siamo, in questo momento, in grado di produrre circa due dozzine di dosi a settimana, con la possibilità di espandere la produzione, se necessario”, ha garantito.
L’azienda spiega, in un comunicato, che “l’uso di questo tipo di cellule per il trattamento di pazienti con polmonite grave associata a COVID-19 testato in Cina, negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, con più di 20 studi clinici in corso da studiare la sicurezza e l’efficacia di questa terapia”.
In Europa sono 10 gli studi clinici in attivo per il trattamento delle cellule staminali mesenchimali e il COVID-19.
Orgogliosi si esser parte di questa realtà, augurandoci che presto l’Italia riconsideri la conservazione delle cellule staminali mesenchimali del tessuto cordonale e l’entrata in studi clinici per il COVD-19 che possano utilizzare questa tipologia di farmaco.
Il farmaco a base di cellule staminali mesenchimali potrà curare altre malattie?
Sì, è quello che ci spiega André Gomes. Il farmaco, continua nel comunicato, “ha altre applicazioni nell’area della regolazione del sistema immunitario, in particolare nel trattamento dei pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo che sviluppano una forma grave di malattia del trapianto contro l’ospite”, aggiunge.
L’Istituto Portoghese di Oncologia di Lisbona, ha avuto l’autorizzazione da Infarmed per utilizzare SLCTmsco2 a tale scopo.
“Il progetto, che rappresenta un investimento di un milione di euro e si propone di essere un riferimento in Europa, si propone di produrre questo tipo di farmaco e di esplorare il potenziale terapeutico delle cellule staminali, siano esse cellule staminali mesenchimali da tessuto del cordone ombelicale, nelle malattie autoimmuni, sia nelle cellule del sangue del cordone ombelicale nell’area della pediatria dello sviluppo “, aggiunge André Gomes.
Essere parte integrante di una realtà come Stemlab ci permette di essere ben radicati nel presente ma di pensare con fiducia al futuro.
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Oggi noi di Evolvo Group, insieme a ProntoClinica, vogliamo parlarti in qualità di imprenditore. Perché, al di là della scienza, della deontologia e della reputazione che hai impiegato anni a costruirti, sei prima di tutto un professionista del tuo settore, ed è giusto che i tuoi nuovi pazienti ti conoscano al di là del semplice passaparola.
Il mercato online della salute e del benessere vale 721 milioni di euro l’anno, con un incremento del 23% ogni anno (rapporto annuale Casaleggio Associati 2019).
Con la pandemia il margine di crescita aggiornato al 2021 sarà in prospettiva molto elevato.
Chi non ha subito gravi perdite durante il lockdown è stato proprio chi era già attrezzato con strumenti digitali ed una piattaforma e-commerce, oppure chi si è velocemente aggiornato in tal senso.
Sei sicuramente un imprenditore che vuole aggredire questa fetta di mercato, pertanto, se non l’hai già fatto, dovrai necessariamente digitalizzare la tua impresa e le soluzioni a tua disposizione sono due:
Nel primo caso, la creazione di un e-commerce per la propria attività costa diverse migliaia euro, somma alla quale vanno aggiunti i costi di gestione e manutenzione ordinaria e straordinaria (manutenzione mensile, risoluzione di bug e problemi tecnici ecc.).
Fatta questa spesa lo scoglio è superato? Assolutamente NO.
Un e-commerce online che non viene pubblicizzato è come un negozio in una via di periferia senza alcun passaggio = fallimento assicurato.
I costi per la gestione di campagne pubblicitarie di successo anche in questo caso ammontano a migliaia di euro l’anno, senza contare gli investimenti per le pubblicità a pagamento (Google e Social Media).
Risulta chiaro quindi che affidare ad un’azienda tutto il rischio in cambio della cessione di una piccola commissione sia la strategia più vantaggiosa!
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Quella che vi riportiamo di seguito è una delle tante storie che in epoca di pandemia rischiano di diventare pericolosi precedenti che possono andare ad influire sulla carriera professionale di molti: nella fattispecie, fotografa perfettamente i nuovi rischi che incombono sulla categoria dei biologi e sui laboratori di analisi.
Qualche giorno fa una nota squadra di calcio, in vista della partita di Coppa, sottopone i propri giocatori a test COVID per accertarne la negatività in un Laboratorio fiduciario della Federazione. Al termine dei test viene data la negatività di tutta la rosa.
E fin qui tutto bene!!!
Nel giro di qualche ora, in base a una nuova valutazione dei risultati, uno dei giocatori è stato considerato “debolmente positivo”: tale risultato, successivamente confermato con un test aggiuntivo, ha portato all’immediato isolamento ed esclusione dalla lista dei convocati del giocatore.
A questo punto la Società organizza una propria “sessione anti COVID” presso il proprio laboratorio di fiducia.
E qui iniziano i problemi!!!
I risultati dati dal secondo Laboratorio danno esito NEGATIVO.
Chi ha sbagliato cosa?
E’ una questione di carica virale?
…di sensibilità del test?
…della sua specificità?
Errore umano?
Scambio di campione?
Sono tante le domande che si affollano nella mente dei Dirigenti della Società che, in seguito a questa vicenda, si trovano con un convocato in meno che avrebbe o non avrebbe potuto fare la differenza ma che certamente è dovuto restare a casa!!! E questo, agli occhi della blasonata società di calcio, potrebbe apparire come un danno da vedere risarcito.
È evidente quindi che Biologi e Laboratori di Analisi debbano tenere in debita considerazione, ora come non mai, dei fattori collaterali diversi rispetto a quelli puramente tecnico – clinico – sanitari che entrano prepotentemente in gioco quando a questi ultimi si legano i profitti e gli interessi economici di aziende, imprenditori e lavoratori che potrebbero vedersi danneggiati dall’operato di queste importanti strutture sanitarie.
Ma come garantirsi una serena attività professionale e nel contempo tutelare il privato?
Oltre a mettere in atto tutte le procedure che comprovino l’assoluta qualità dei processi all’interno della struttura che nel contempo certifichino quanto fatto dai vari operatori, uno strumento di tutela fondamentale è dotarsi di una corretta copertura assicurativa, con particolare attenzione verso la tutela legale, che possa farsi carico di eventuali contenziosi laddove i costi di difesa contro eventuali richieste di risarcimento danni potrebbero essere molto elevati.
Nel contempo, individuare e valutare i fattori di rischio che espongono a possibili azioni risarcitorie, avviando un percorso virtuoso che preveda una metodologia mirata al loro contenimento.
Tracciare la storia clinica di un paziente, decentralizzare, criptare e rendere immutabili i suoi dati, evitare frodi assicurative o manipolazioni, sono alcuni dei vantaggi che la tecnologia Blockchain può portare nell’ambito della sanità.
Anche se viene spesso associata solamente ai Bitcoin e ad altre criptovalute vista la sua funzione di registro sicuro per le transazioni finanziarie, questa tecnologia possiede delle caratteristiche che la rendono adatta anche ai servizi sanitari.
Il significato letterale di questa parola è “catena di blocchi” e si presenta come una sorta di registro digitale condiviso e immutabile nel quale diverse informazioni vengono raggruppate l’una all’altra in ordine cronologico, senza che nessuna possa essere modificata o eliminata poiché protetta dalla crittografia.
Questa tecnologia si basa su una rete di singoli computer, detti “nodi”, che rendono disponibili i dati senza il bisogno di un’autorità centrale che li gestisca o li manipoli.
Ad esempio, ad ogni visita effettuata da un medico si genera un nuovo blocco di informazioni all’interno del quale sono presenti sia i vecchi che i nuovi referti medici del paziente senza modificarli. Prima di poter entrare a far parte della catena di blocchi, però, ogni nodo del network deve approvare l’aggiornamento effettuato. Da quel momento non sarà più possibile cancellare quella traccia
Gran parte dei sistemi di Blockchain sono decentralizzati e proteggono i file grazie all’utilizzo della crittografia. Questo rende estremamente complicato per un eventuale aggressore modificare o distruggere i dati senza il consenso di tutti i partecipanti alla catena di blocchi. Di conseguenza è possibile creare database incorruttibili per i registri medici che garantiscono l’integrità del dato.
Si vengono così a presentare una ampia serie di vantaggi per i medici, i pazienti, le istituzioni e le aziende:
Cartelle cliniche elettroniche
Uno degli esempi che riguarda più da vicino tutti è la possibilità di creare cartelle cliniche elettroniche consultabili ovunque. Al contempo questa soluzione consentirebbe a diversi medici o ospedali, se autorizzati in precedenza dai pazienti, di poter consultare la loro intera storia clinica al fine di avere un quadro completo e di individuare più rapidamente la soluzione migliore per ogni paziente.
Trial clinici tracciabili
Spesso i trial clinici vengono eseguiti in diversi parti del mondo e non vengono inseriti in un unico database consultabile da tutti coloro che si dedicano ad una specifica ricerca o studio. Con la Blockchain non solo quei dati diventano disponibili, ma è anche possibile combinarli in modo sicuro e dimostrarne l’efficacia in modo più semplice.
Combattere le frodi assicurative
In molti casi operatori e pazienti poco onesti presentano richiesta di rimborso per prestazioni mai effettuate o richiedono accertamenti medici di cui in realtà non si ha bisogno. Grazie alle Blockchain questi tipi di frodi più comuni possono essere prevenute: i pazienti e gli operatori inseriscono le informazioni all’interno di un database comune che può essere facilmente consultabile dalle assicurazioni, le quali provvedono in seguito al rimborso delle prestazioni effettivamente eseguite o necessarie.
Gestione affidabile della filiera dei farmaci
Uno dei problemi in questo ambito è il rischio di contraffazione o furto dei farmaci. Questa tecnologia permette di monitorare l’intera catena logistica, che va dalla produzione alla distribuzione. In questa maniera non solo il rischio di contraffazione o furto si riduce drasticamente, ma viene assicurato a chi assumerà quel farmaco, attraverso il tracciamento degli spostamenti, la provenienza ed il percorso fatto prima di arrivare sullo scaffale della farmacia.
In conclusione l’utilizzo della Blockchain presenta diversi casi di utilizzo nel settore sanitario. Malgrado siano presenti sfide tecniche, logistiche e normative, l’implemento di questi sistemi operativi potrebbe avere un ruolo rilevante nel futuro dell’archiviazione e del trasferimento dei dati medici.
A luglio dell’anno scorso è stato presentato Crime Training, un software che permette di ricostruire la scena di un crimine esplorandola attraverso un’esperienza immersiva con un visore VR (realtà virtuale).
La tecnologia si è spesso messa al servizio delle forze di Polizia e delle Scienze Forensi agevolando il lavoro di operatori ed investigatori che sono chiamati a scoprire la verità. L’utilizzo della ricostruzione 3D ne è un esempio. Ma che differenza c’è tra 3D e Realtà Virtuale e come vengono utilizzati questi strumenti?
Con l’utilizzo del 3D si ricostruisce la scenografia tridimensionale del delitto. Per farlo si usa una stanza e si posizionano uno o più operatori che si muovono all’interno dello spazio con una tuta dotata di sensori, riproducendo l’azione criminosa. Questo serve per consentire di animare degli “avatar” che diventeranno poi i protagonisti di quella scena virtuale, come se fossero le persone che si trovavano sul luogo del crimine. Sarà così possibile andare avanti e indietro nel tempo per rivedere virtualmente i fatti.
Per risolvere un cold case italiano, infatti, si è ricorso alla “Analysis of Virtual Evidence”. Si tratta di una tecnica di comparazione tridimensionale. Dopo molto tempo l’unico elemento a disposizione degli investigatori era un video ritraente la vittima con ai piedi le stesse calzature, che presentavano macchie di sangue la sera dell’omicidio. Si sono dunque comparati i frame estratti dal video con un ambiente virtuale tridimensionale dove la scansione laser ha trasformato la scarpa da prova fisica a prova digitale. Sovrapponendo poi la virtual evidence alle immagini registrate, si è potuto determinare con assoluta certezza che sulle scarpe riprese nel video non erano presenti le macchie di sangue riscontrate il giorno dell’omicidio.
Il video pubblicato dalla Polizia di Stato
Con il software per la realtà virtuale, attraverso il visore, non si assiste all’azione che si ripete ma si può interagire con la scena del crimine. Questo perché attraverso il software si ricostruisce la scena del crimine, così come cristallizzata dalla Polizia Scientifica, creando percorsi virtuali guidati in cui si possono simulare le stesse azioni che si compirebbero nella realtà. È possibile, quindi, ispezionare l’ambiente, visionare la scena, effettuare rilievi, raccogliere oggetti, aprire cassetti e armadi, andare a caccia di tracce e prelevarle. In sostanza, si può interagire con la scena e con tutti gli oggetti presenti.
Basta indossare un visore VR (una maschera con occhiali speciali, lo stesso usato per giocare) e due dispositivi molto simili ai joycon della Wii per ritrovarsi dentro la scena del crimine. I joycon permettono all’utente di scegliere fra una serie di strumenti da utilizzare (lampada per illuminare, tamponi, macchina fotografica, luminol o luce blu per mettere in chiaro le tracce).
Le Forze dell’Ordine hanno già la possibilità di riprodurre in 3D la scena del crimine. Hanno quindi un quadro più immersivo dell’azione rispetto alla semplice prospettiva data da una fotografia o da un video, potendo esplorare i diversi punti di vista dei soggetti che hanno partecipato all’azione criminosa o ricostruire delle tracce in modo virtuale e analizzarle. Il sistema, abbiamo detto, è già testato su cold case (omicidi irrisolti) e vicende complesse di omicidio.
Chi può, invece, usare il software Crime Training? Il software è utilizzato a scopo formativo. In ambito didattico è sicuramente una prospettiva utile sotto più fronti. Lo studente alle prime armi oltre ad entrare in contatto diretto con la scena e con gli errori da non compiere, riesce anche a prepararsi all’impatto emotivo sicuramente forte che accompagna un mestiere così complesso.
“Tra i vantaggi dell’utilizzo di un software per la realtà virtuale troviamo la possibilità, per uno studente, di condurre un’ispezione visiva senza entrare fisicamente nella scena del crimine. Nei corsi di formazione in materia di Scienze Forensi è chiaramente impossibile l’interazione con tali ambienti.” ha detto la Dott.ssa Roberta Bruzzone, Psicologa Forense e Criminologa Investigativa, Presidente dell’Accademia Internazionale delle Scienze Forensi. Con il software VR, quindi, si può guidare lo studente attraverso l’attività di sopralluogo simulata.
“Tra gli svantaggi nell’utilizzo al di fuori della didattica, c’è sicuramente da menzionare la limitazione pratica che un visore ed un software comportano in un’attività complessa come quella del sopralluogo tecnico. Attività che difficilmente può essere sostituita da una sola riproduzione artificiale ma che richiede una presenza effettiva sulla scena.” ha concluso la Dott.ssa Roberta Bruzzone.
La tecnologia sta sicuramente offrendo il suo grandissimo contributo e l’analisi delle prove scientifiche diventa sempre più Hi-Tech. Resta però che qualsiasi evento criminoso è da considerarsi come l’insieme di moltissimi elementi, non solo fisici e, a volte, anche di più scene del crimine.
A cura di
Roberta Catania
Durante il lockdown è emersa una esigenza di un sistema connesso, di precisione, orientato al territorio e alla continuità di cura. Ormai da anni si parla di teleconsulti e videovisite, ma solo in questi mesi si è capito che sono strumenti essenziali non solo per i malati di coronavirus costretti a curarsi a domicilio ma anche per chi doveva tenere sotto controllo una patologia cronica senza effettuare visite di controllo in presenza.
Questi strumenti hanno compiuto così bene il loro compito che, finita l’emergenza, stanno diventando parte integrante delle pratiche sia dei centri privati sia di ospedali pubblici.
Francesco Sicurello, docente di informatica medica all’Università Bicocca di Milano spiega: “La telemedicina è la comunicazione di dati medici a fini diagnostici e terapeutici a distanza e oggi avviene in due modi. Il primo riguarda lo scambio, fra ospedali o reparti, di referti medici, lastre, tracciati, esami: niente più carta, ma file compressi che circolano, con l’obiettivo di avere maggiori valutazioni su una certa patologia. Il secondo riguarda pazienti con problemi cronici. In questo caso, il medico, in carne ed ossa, ha già fatto la sua diagnosi, ha già visitato il paziente e può continuare ad acquisire nel tempo altri dati (valori del sangue, lastre, ecc.) sull’evoluzione della malattia, seguendo la persona a distanza. È quello che si definisce «telemonitoraggio».
Questo, sottolinea Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Milano e provincia, “Non va però visto come il superamento della visita medica: il controllo fisico, con gesti come la palpazione e l’auscultazione, è cruciale al fine di una diagnosi o per modificare una terapia. Non scordiamoci infatti che il malato non è un medico e che non sempre riesce a interpretare i segnali del corpo senza esserne influenzato”.
Lo studio condotto da Luigi Cavanna, direttore dell’oncologia ed ematologia della ASL Piacenza, dimostra che il consulto telefonico può essere una grande risorsa. I dati, infatti, confermano che su 250 persone solo per 7 è stato richiesto il ricovero in ospedale. Questo perché anche i meno giovani hanno imparato a misurare autonomamente alcuni parametri vitali e a comunicarli ai medici via smartphone o via telefono. E sono proprio gli over 65 i candidati ideali dei teleconsulti, visto che, ormai, al giorno d’oggi anche fino all’età di 80 anni si è in grado di chattare e videochiamare. Quindi questi strumenti a disposizione di medici e pazienti diventano un’opportunità per monitorare a domicilio un gran numero di malati cronici.
Durante l’emergenza Covid- 19 il 51% dei medici di medicina generale ha dichiarato di aver lavorato da remoto, giudicando positivamente l’esperienza sia per la condivisione delle informazioni sia per la capacità di rispondere prontamente alle richieste urgenti.
Inoltre, già prima della pandemia, il 56% dei medici di medicina generale e il 46% degli specialisti utilizzavano WhatsApp per comunicare con i pazienti. Questi dati fanno presagire che in futuro la percentuale dei medici e specialisti che vorranno utilizzare piattaforme di collaboration, come Skype e Zoom, aumenterà.
Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, ha sottolineato “In un momento così delicato per il Paese e di così forte pressione su medici e ospedali, il ruolo del digitale diventa ancora più importante per aumentare la resilienza del nostro sistema sanitario. Le tecnologie digitali possono fare la differenza in tutte le fasi di prevenzione, accesso, cura e assistenza dei pazienti, per aiutare il personale sanitario nelle decisioni cliniche e le strutture sanitarie nella continuità di cura e nell’operatività”
In sostanza, è previsto che i servizi per accedere alle applicazioni e ai documenti da remoto attraverso VPN (acronimo di Virtual Private Network, un servizio che crittografa il traffico Internet e protegge l’identità online) si diffonderanno sempre più, sia per l’avanzamento tecnologico che lo rende possibile sia per la maggiore acquisizione di praticità da parte di medici e pazienti.
Giandomenico Iannucci, medico di famiglia di Scarperia e San Piero (Firenze), è morto il 2 aprile scorso dopo essere stato ricoverato in terapia intensiva per aver contratto il Coronavirus. L’appello ora è quello di far accedere la moglie e la giovane figlia al fondo dedicato istituito dalla protezione civile.
Nato nel ’56 si era laureato all’età di 27 anni in Medicina a Firenze e specializzato in nefrologia. Con lo studio a Scarperia, aveva dedicato la sua vita professionale al territorio, facendo turni settimanali anche nell’altra metà del Comune mugellano, dopo la scomparsa di Giuliano Cipollone, storico medico di San Piero a Sieve.
Verso la fine di febbraio di questo anno Iannucci ha iniziato ad avere i sintomi di un’influenza, che lo ha tenuto lontano dal lavoro per una ventina di giorni.
Guarito, torna ad operare nel suo studio nel secondo fine settimana di marzo e contrae subito il Coronavirus, con la notizia della sua positività diffusasi il 18 marzo.
A seguito della notizia il dipartimento di prevenzione dell’Asl ha messo in quarantena una trentina di persone entrate in contatto con il medico.
Ricoverato in terapia intensiva all’Ospedale di Careggi, si è spento il 2 aprile, poco prima del suo sessantaquattresimo compleanno, l’11 aprile.
Secondo Vittorio Boscherini, il segretario fiorentino di Fimmg (principale sindacato dei medici di famiglia) «è estremamente probabile che Iannucci sia stato contagiato da un paziente, mentre lavorava. Per due motivi: primo, perché nella stagione influenzale un medico di famiglia non ha vita sociale, lavora dalla mattina alla sera, figurarsi ora col Covid; secondo, perché non aveva, esattamente come tutti i medici di famiglia, protezioni adeguate sul posto di lavoro. Nonostante l’ultima ordinanza della Regione sui dispositivi di protezione stiamo ancora aspettando l’arrivo delle mascherine. È una situazione inaccettabile».
Durante l’emergenza che ha colpito il nostro paese, tantissimi operatori sanitari hanno sacrificato le loro vite in prima linea per evitare una diffusione ancora peggiore del virus. Purtroppo in molti hanno pagato il prezzo di questo gesto eroico con la loro vita, come è accaduto al Dottor Iannucci.
Ma il sacrificio di Iannucci per l’assicurazione, presso la quale il medico aveva stipulato la sua polizza professionale, non viene considerato come “morte sul lavoro”.
Il legale della famiglia, Roberto Ippolito, racconta a Today «Questo del dottor Iannucci è un caso emblematico. Gli eroi sono diventati una pratica, una bega burocratica…». Ma perché secondo l’assicurazione non si tratterebbe di morte sul lavoro? «Ci sono anche altri casi simili – risponde D’Ippolito -. Le assicurazioni dicono che aver contratto il virus non è un evento traumatico, imprevisto e violento quale è l’infortunio sul lavoro. Si aggrappano a questo cavillo giuridico. Che non sia imprevisto lo capisco, che non sia traumatico e violento no. Spero che le assicurazioni facciano un passo indietro, rivedendo la loro posizione».
Per redimere la questione il legale si appella al fondo dedicato istituito dalla protezione civile, istituito grazie ai contributi di imprese e singoli cittadini e con lo scopo di dare sostegno ai familiari degli operatori sanitari deceduti a seguito del Coronavirus.
Ad oggi il fondo non è stato ancora sbloccato e per questo il legare lancia l’appello: «Finora non ha erogato nessuna somma. Ma si può iniziare proprio da qui, dal medico di Scarperia»
Questo sarebbe un gesto di rispetto per tutti coloro che hanno perso la loro vita e che non si sono tirati indietro quando tutti noi avevamo più bisogno di loro.
La notizia riguarda Luigi Statira, cittadino di Piano di Sorrento deceduto alla fine dello scorso marzo, per il quale la Procura di Torre Annunziata (ufficio guidato dal procuratore Nunzio Fragliasso) ha deciso di procedere alla riesumazione della salma per un’autopsia in seguito alla querela esposta dai familiari.
Era l’8 marzo quando il signor Statira iniziò a manifestare tosse e febbre alta. Preoccupati dallo stato di salute del 75enne i familiari contattarono il medico di famiglia, Federico Coppola, il quale, però, si limitò a tranquillizzarli sulle sue condizioni. Giunti al 15 marzo le condizioni di Statira peggiorano e, a quel punto, il medico prescrive telefonicamente una infiltrazione di Rocefin e Bentelan, senza però avanzare richiesta di tampone o ricovero in ospedale.
Stando alla denuncia – come raccontato da Il Mattino – (che, va ricordato, resta al momento una versione di parte) il quadro clinico dell’uomo si aggrava, riuscendo ad ottenere così la visita di due sanitari della guardia medica che evidenziarono la presenza di una bronchite in corso e disposero una cura a base di sciroppo sedativo e vitamina b (anche in questo caso niente tampone). Arrivati al 19 marzo l’ambulanza lo prelevò dalla sua abitazione per trasportarlo all’ospedale di Sorrento. Dopo qualche giorno, il 24 marzo, il trasferimento al Loreto Mare, mentre dal Cotugno arriva il tampone che accerta la positività da coronavirus. Il 30 marzo, il decesso.
Vi ricordate quando qualche mese fa vi parlavamo dei possibili sinistri da Coronavirus e per colpa del Coronavirus a cui sarebbero potuti andati in contro tutti gli operatori sanitari?
Il primo caso si verifica quando, ad esempio, un medico, spostandosi da un reparto all’altro di un ospedale, contrae il virus da un paziente e lo trasmette a un altro. Il secondo caso invece si verifica, ad esempio, quando il medico, oberato da turni di lavoro strazianti o messo nelle condizioni di non poter dare assistenza a tutti per mancanza di risorse, viene accusato di aver “trascurato” un dato paziente con conseguente aggravamento del suo quadro clinico.
A tal proposito citiamo un passaggio della “Lettera aperta ai tempi del Coronavirus” redatta dall’Avvocato Gianluca Mari di Giustizia Professionale:
“Vi preghiamo di voler registrare ed annotare tutto, le cose buone, le eccellenze, il buon andamento e funzionamento del sistema. Tuttavia, forse ancora più importante, Vi preghiamo di registrare ed annotare tutto ciò che non sta funzionando, le difficoltà che riscontrate, le carenze tecnico-organizzative, la mancanza di presidi, la mancanza di posti letto, le reazioni eventualmente poco piacevoli di pazienti e parenti degli stessi, l’assenza di controlli… In sostanza tutto. Mai come oggi siate completi nella documentazione clinica, nel rapporto diretto e chiaro con i pazienti e i parenti, nel registrare ogni singolo accadimento tenendo una traccia che resti a Voi.”
Questa lettera è stata scritta per mettere in guardia i medici e tutti gli operatori sanitari dai possibili rischi clinici derivanti dalla particolare situazione in cui si trovava la nostra nazione, una situazione che, purtroppo, in molti casi ha distratto l’attenzione del medico, l’ha spostata verso altro comportando delle ripercussioni alla sua figura professionale.
Il caso sopra riportato riguarda proprio un sinistro per “colpa” del Coronavirus, in cui il paziente è stato, a detta dell’accusa, trascurato dalle autorità sanitarie, con conseguente aggravamento del quadro suo clinico fino ad arrivare al decesso dello stesso. Ora solamente l’autopsia ordinata dalla Procura di Torre Annunziata rivelerà se sia stato effettivamente adottato un comportamento negligente da parte del personale sanitario, dando ragione ai familiari del defunto, o se invece quanto è accaduto è stata una conseguenza delle poche risorse a disposizione degli operatori sanitari, come la mancanza di personale, di tamponi, di posti letto o di altre mancanze che si sono verificate in molte delle strutture sanitarie della nazione.
Però una cosa è certa, Vi avevamo avvisato sulla possibilità che situazioni simili si verificassero e Vi avevamo avvertito sulle possibili conseguenze, dandovi anche dei consigli su come affrontare tali evenienze in maniera tale da ottenere, per voi, la migliore tutela legale professionale possibile.
È in casi come questi che la soluzione migliore per Voi è quella di avere una polizza di responsabilità civile abbinata ad una polizza di tutela legale, il tutto coordinato da una figura altamente specializzata, un consulente di brokeraggio totalmente schierato dalla Vostra parte che Vi metta a disposizione la miglior difesa legale esperta in responsabilità medica e che Vi segua dalla corretta compilazione del questionario di polizza (propedeutico alla sottoscrizione del contratto assicurativo), sino alla gestione in tribunale della vertenza a vostro carico.
Con questo non vogliamo assolutamente affermare la totale innocenza degli operatori in questione, perché quella la si potrà dimostrare solo dopo le analisi affidate alle autorità competenti. Vogliamo solamente evidenziare il fatto che nel nostro bellissimo paese è facile passare da eroi a capri espiatori e per questo è quanto mai essenziale per Voi avere la migliore assistenza possibile.
Adesso, stando alla lettura degli avvisi di garanzia, sotto inchiesta sono finiti il medico di famiglia di Luigi Statira, alcuni medici dell’ospedale di Sorrento e i camici bianchi del Loreto Mare di Napoli, dove l’uomo è deceduto.
Bisogna fare una doverosa precisazione: L’avviso di accertamento irripetibile non equivale una sentenza di condanna, ma rappresenta un momento di accertamento di condanna nel quale si cercherà di verificare la fondatezza delle accuse. Dunque tutti i soggetti coinvolti avranno modo di far valere le proprie ragioni, nel tentativo di dimostrare la correttezza della propria condotta.