Medico muore per Coronavirus, ma per l’assicurazione non è morte sul lavoro

Giandomenico Iannucci, medico di famiglia di Scarperia e San Piero (Firenze), è morto il 2 aprile scorso dopo essere stato ricoverato in terapia intensiva per aver contratto il Coronavirus. L’appello ora è quello di far accedere la moglie e la giovane figlia al fondo dedicato istituito dalla protezione civile.

LA STORIA

Nato nel ’56 si era laureato all’età di 27 anni in Medicina a Firenze e specializzato in nefrologia. Con lo studio a Scarperia, aveva dedicato la sua vita professionale al territorio, facendo turni settimanali anche nell’altra metà del Comune mugellano, dopo la scomparsa di Giuliano Cipollone, storico medico di San Piero a Sieve.
Verso la fine di febbraio di questo anno Iannucci ha iniziato ad avere i sintomi di un’influenza, che lo ha tenuto lontano dal lavoro per una ventina di giorni.
Guarito, torna ad operare nel suo studio nel secondo fine settimana di marzo e contrae subito il Coronavirus, con la notizia della sua positività diffusasi il 18 marzo.
A seguito della notizia il dipartimento di prevenzione dell’Asl ha messo in quarantena una trentina di persone entrate in contatto con il medico.
Ricoverato in terapia intensiva all’Ospedale di Careggi, si è spento il 2 aprile, poco prima del suo sessantaquattresimo compleanno, l’11 aprile.

LE CONTROVERSIE ASSICURATIVE

Secondo Vittorio Boscherini, il segretario fiorentino di Fimmg (principale sindacato dei medici di famiglia) «è estremamente probabile che Iannucci sia stato contagiato da un paziente, mentre lavorava. Per due motivi: primo, perché nella stagione influenzale un medico di famiglia non ha vita sociale, lavora dalla mattina alla sera, figurarsi ora col Covid; secondo, perché non aveva, esattamente come tutti i medici di famiglia, protezioni adeguate sul posto di lavoro. Nonostante l’ultima ordinanza della Regione sui dispositivi di protezione stiamo ancora aspettando l’arrivo delle mascherine. È una situazione inaccettabile».
Durante l’emergenza che ha colpito il nostro paese, tantissimi operatori sanitari hanno sacrificato le loro vite in prima linea per evitare una diffusione ancora peggiore del virus. Purtroppo in molti hanno pagato il prezzo di questo gesto eroico con la loro vita, come è accaduto al Dottor Iannucci.
Ma il sacrificio di Iannucci per l’assicurazione, presso la quale il medico aveva stipulato la sua polizza professionale, non viene considerato come “morte sul lavoro”.
Il legale della famiglia, Roberto Ippolito, racconta a Today «Questo del dottor Iannucci è un caso emblematico. Gli eroi sono diventati una pratica, una bega burocratica…». Ma perché secondo l’assicurazione non si tratterebbe di morte sul lavoro? «Ci sono anche altri casi simili – risponde D’Ippolito -. Le assicurazioni dicono che aver contratto il virus non è un evento traumatico, imprevisto e violento quale è l’infortunio sul lavoro. Si aggrappano a questo cavillo giuridico. Che non sia imprevisto lo capisco, che non sia traumatico e violento no. Spero che le assicurazioni facciano un passo indietro, rivedendo la loro posizione».
Per redimere la questione il legale si appella al fondo dedicato istituito dalla protezione civile, istituito grazie ai contributi di imprese e singoli cittadini e con lo scopo di dare sostegno ai familiari degli operatori sanitari deceduti a seguito del Coronavirus.
Ad oggi il fondo non è stato ancora sbloccato e per questo il legare lancia l’appello: «Finora non ha erogato nessuna somma. Ma si può iniziare proprio da qui, dal medico di Scarperia»
Questo sarebbe un gesto di rispetto per tutti coloro che hanno perso la loro vita e che non si sono tirati indietro quando tutti noi avevamo più bisogno di loro.

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